La paura da Covid-19 fa novanta?

La paura da Covid-19 fa novanta?

Marzo 26, 2020 0 Di Gionatan Mandice

Ebbene sì, anche in questo caso la paura fa novanta e il rischio è di assumere posizioni e comportamenti non sempre dotati di senso.

Quindi è sbagliato avere paura?

Assolutamente no, non è questo il punto se te lo sei chiesto, ma è contemplarla, sapere che ci può essere e che la sua presenza cambia il nostro pensiero e i nostri comportamenti.

Per dirla in termini differenti, tralasciando altri fattori, proviamo a considerare la seguente equazione:

pensieri * emozioni = comportamento

I nostri comportamenti (e atteggiamenti) non sono dati solo dalla nostra parte pensante, ma anche dalla stretta interazione con le emozioni e, soprattutto quando queste diventano forti, la loro influenza è determinante. Perciò scordiamoci di agire sempre in modo razionale (peraltro impossibile anche al netto delle emozioni, come ho evidenziato in un precedente articolo.

Se riusciamo a riconoscere la componente emotiva saremo in grado di aggiustare il tiro e trovare un equilibrio tra questa e i nostri pensieri, se invece la omettiamo, cadremo nell’illusione di agire sempre nel giusto, perché il nostro pensiero, in quanto nostro, è giusto per definizione.

Le emozioni vanno dunque lette come un ostacolo?

No, assolutamente. Al contrario possono diventare nostre preziose alleate, ma è necessario fermarci a riflettere un attimo sulla loro origine. Senza entrare troppo nello specifico dobbiamo pensare che alcune emozioni di base come la paura e la rabbia hanno una funzione prettamente evolutiva che ci ha permesso di scappare dai leoni e di combattere i nemici. Il loro carattere è perciò piuttosto istintuale e orientato all’azione. Se riconosciamo queste emozioni saremo maggiormente in grado di comprendere i nostri stati d’animo e riflettere sui nostri pensieri, di conseguenza sapremo scegliere più consapevolmente i nostri comportamenti. In questo caso l’emozione è un importante segnale che ci aiuta a comprendere. Nel caso opposto saremo portati ad agire l’emozione in modo automatico, giustificandola con i pensieri, senza neppure renderci conto di tutto questo processo.

Ma torniamo al Coronavirus…

Chi più chi meno, su un fronte o su un altro, siamo tutti esposti a delle minacce in questo momento. Ciò inevitabilmente scatena delle emozioni, delle quali possiamo essere più o meno consapevoli. Va aggiunto inoltre che la condizione di isolamento ne aumenta certamente la portata.

Perciò se vogliamo dare loro il giusto peso, riconoscendone il potenziale comunicativo, proviamo a porci autenticamente la domanda:

quale emozione sta guidando i miei comportamenti?

Provo a prendere come esempio di riflessione un argomento molto discusso negli ultimi giorni. L’intento non è di esprimere un giudizio in merito, voglio che sia chiaro, ma è di provare a domandarci: quali emozioni possono aver motivato questi comportamenti, in modo più o meno consapevole?

Mi riferisco alle frequenti critiche mosse ai runner negli scorsi giorni.

Esse sono dovute a un sentimento altruistico di tutela sociale di fronte a un comportamento ritenuto egoistico?

Oppure sono la manifestazione del disdegno per coloro che fingono un’attività per aggirare un divieto?

Può essere che sia la preoccupazione all’origine della richiesta di maggiore prudenza da parte di tutti?

O sono critiche invece da attribuire a vissuti di frustrazione, di rabbia e di invidia, dovuti alle restrizioni alle quali siamo sottoposti?

O ancora, sono dovute al senso di colpa per i propri comportamenti recenti ribaltato su qualcun altro?

Vediamo in questi esempi come possano essere diverse le dinamiche che portano al medesimo comportamento. Possiamo osservare come nei primi due casi prevalga una dimensione morale, mentre negli ultimi due sia prevalente il bisogno di dare sfogo a un’emozione, spesso inconsapevole. Se ad esempio, mi sentissi in colpa per essere andato a sciare qualche giorno prima potrei cadere nella tentazione di scaricarla su qualcun altro per alleggerirne il peso.

Se non mi rendessi conto di ciò (elemento emozionale) potrei spendermi in ottime argomentazioni per biasimare i runner, rischiando di turbare inutilmente un clima sociale già molto complesso e perdendo un’occasione per comprendermi meglio.

Ripeto: non è mia intenzione giudicare nella fattispecie se sia giusto o meno andare a correre, ma prendo questo esempio per svolgere un ragionamento sul peso emozionale dei nostri comportamenti.

Sono diverse le emozioni di base che possono scaturire in questo periodo e, dato il loro carattere primitivo descritto in precedenza, possono portare, se non riconosciute, a comportamenti poco sensati o addirittura irrazionali.

La paura non riconosciuta può essere l’antecedente della negazione. E in questa logica possiamo leggere molti episodi al limite dell’incredibile come gli aperitivi e le feste Coronavirus, le parate dei Puffi o le teorie complottistiche, eccessive persino a Hollywood. In quest’ultimo caso alla paura spesso si lega la difficoltà cognitiva di interpretare una realtà complessa. Ma visto il dilagare del fenomeno dedicherò un articolo specifico per approfondire questo tema.

La paura, con un effetto più generalizzato, può diventare ansia, accompagnata dalla sensazione di perdita di controllo. È facile in questo caso sentire il bisogno di fare qualcosa per contenerla, qualunque cosa, ma fare. In tal senso mi chiedo (è una domanda di analisi e non una critica) se gli ultimi interventi di governo e regioni rispondano anche a questo bisogno, ovvero di mostrare che si sta continuando a fare, perché aspettare solamente l’esito dei precedenti provvedimenti, che si manifestano dopo settimane, genererebbe ulteriore ansia.

Un altro contenitore d’ansia, per quanto possa essere tragico in questo momento, è quello dei numeri. Essi in qualche modo ci danno una certezza, qualcosa di tangibile, in un quadro globale estremamente incerto. Anche se l’attendibilità di questi numeri è piuttosto discutibile vista l’eterogeneità delle procedure di raccolta, rimangono la prima notizia di ogni telegiornale perché, in qualche modo, ci danno un punto fermo al quale appoggiarci.

Nel contesto attuale un’emozione primitiva molto rischiosa, se non incanalata, e dal potenziale esplosivo, è la rabbia. Essa porta a cercare fuori di sé la causa del problema, spesso in modo approssimativo e irrazionale. La ricerca dell’untore può essere la strada più semplice per scrollarsi il disagio, ma non l’unica, a scapito della comprensione oggettiva del problema nel quale un semplicissimo virus sta mettendo in ginocchio il mondo intero. E questo ferisce il nostro delirio di onnipotenza di sapiens sapiens.

Un’emozione spesso ingiustamente bistrattata è la tristezza, mentre il suo potenziale adattivo può essere molto rilevante in questo periodo storico. Non è disperazione, non è depressione, non è lamentela gratuita. Vivere la tristezza, nel senso sano del termine, significa prenderci la nostra fetta di responsabilità, evitando di dividere il mondo in buoni e cattivi, accettare e non rifiutare la situazione in cui siamo, compresa la sofferenza e compreso il nostro umore, che subisce frequenti oscillazioni.

La consapevolezza, anche triste, di dove siamo ci porta ad agire con maggiore pazienza, senso di realtà e responsabilità. E potrà diventare poi un nuovo punto di partenza, una rinascita.

Ci tengo a sottolineare, in conclusione, che le emozioni non sono giuste o sbagliate, ma sono innanzitutto legittime. Se riusciamo a riconoscere e integrare le nostre emozioni con i nostri pensieri e i nostri valori sapremo orientarci al meglio e potremo trovare uno spazio di crescita in tutto ciò; diversamente rischiamo di rimanere impantanati in automatismi disfunzionali, poco gratificanti e per nulla costruttivi.